Oggi sono a Perugia, dove è appena cominciato il Festival Internazionale del Giornalismo: cinque giorni di incontri e discussioni sul presente e soprattutto sul futuro di una professione “dannatamente affascinante”.

Da in po’ di tempo mi sto ponendo diverse domande sul modo in cui occorre affrontare il giornalismo musicale oggi, e anche sul fine ultimo di questa attività, che troppo spesso finisce col ridursi alla segnalazione di artisti più o meno famosi, con il conseguente rischio che tutto si riduca ad un’attività meramente promozionale degli stessi. Capita spesso, infatti, che dopo aver scritto bene di un artista emergente, questo ringrazi e tenda a mantenere il contatto nella speranza di poter ottenere la stessa attenzione per i suoi lavori successivi. Inutile dire che – pur se il contatto personale è di per sé piacevole – la successiva richiesta di ulteriore attenzione lo è molto meno, perché in alcune circostanze si ha la sensazione che l’artista scambi il giornalista per il proprio ufficio stampa. Capisco il desiderio di farsi conoscere, ma dal punto di vista del giornalista in questi casi è abbastanza legittimo chiedersi se non si stia facendo l’interesse (promozionale) dell’artista anziché quello del lettore (che invece ha bisogno di informazioni). Il lettore, ovviamente, è sempre il destinatario dell’articolo, e questo un buon giornalista non deve scordarlo mai.

Con gli artisti già famosi, invece, il problema è esattamente opposto, ovvero quello di cercare di avere un minimo di considerazione da loro anche quando si dedicano grandissime energie alla realizzazione di qualcosa che in fondo promuove l’attività di questi artisti. Nel mio caso, ad esempio, pur avendo scritto un libro su un album di Claudio Baglioni, e non avendo esitato a definire esso come un “capolavoro” (fin dal titolo), l’artista e il suo staff mi hanno completamente ignorato, sia prima che dopo la pubblicazione del libro, nonostante i numerosi tentativi di contatto. Ovvio che l’importanza del giornalista o della testata per cui scrive è determinante in questo caso, e se si è un giornalista indipendente come me le possibilità di avere contatti con gli artisti più famosi si riducono notevolmente.

Dalle considerazioni nate in seguito a queste mie esperienze personali nascono dunque le domande sulla professione del giornalista musicale di cui parlavo all’inizio. Come affrontare il nuovo giornalismo musicale in un contesto come quello odierno in cui i giornalisti possono fare tranquillamente a meno di una redazione tradizionale, potendo proporre direttamente il proprio marchio personale attraverso un blog, instaurando così un rapporto più diretto con i lettori? Qual è il fine di un’attività del genere, se gli artisti emergenti tendono a sfruttare i giornalisti musicali a fini promozionali e quelli affermati ad avere rapporti solo con la stampa “che conta”? Detta “terra terra”, insomma: chi ce lo fa fare?

Se tempo fa scrissi un articolo su come diventare un giornalista musicale, oggi vorrei essere in grado di scriverne un altro che possa dare risposte alle suddette domande. Spero che il Festival Internazionale del Giornalismo e soprattutto i due incontri programmati sul giornalismo musicale, coordinati da Silvia Boschero e Diletta Parlangeli, possano dissolvere i miei interrogativi in proposito.
Vi terrò aggiornati.

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