Con una grande passione per l’Italia, Jarek Wist canta in Polonia (e in polacco) canzoni che sono state per lo più ispirate dalle melodie italiane degli anni Cinquante a Sessanta, e dallo stile di vita italiano. Ora sta promuovendo il suo ultimo album Jest Zapizane con una serie di concerti in Polonia. Tempo fa l’ho incontrato in occasione di un suo concerto a Varsavia e ho avuto modo di fare quattro chiacchiere con lui. Vi propongo dunque il video con alcune immagini del concerto insieme alla mia intervista.
Quando e in che modo è nata questa tua passione per l’Italia?
«Quattordici anni fa sono andato in Italia con la mia classe di scuola, siamo andati a visitare le città più importanti d’Italia. La prima città era Venezia – col pullman. Subito dopo essere uscito dal pullman, ho sentito un odore: “Cucina! Ma cos’è?!?” (io sono un ghiottone, uno che mangia sempre). Poi questi paesaggi, questa gente… Mi sono chiesto: “Ma come mai questa gente parla così? Recita?”. Con quelle candenze, quella intonazione… Aveva un modo strano di pronunciare, di fare le intonazioni, come se recitassero qualche poesia. Mi sono detto: “Mamma mia, che bello!”. Proseguendo per Firenze, e poi Roma, pensavo: “Voglio stare qui”. La passione per la cucina, per la cultura, la musica, la gente, e la mentalità degli italiani sono cose che sento molto più vicine rispetto alla mentalità polacca. Sono una persona che cerca il sorriso, e anche se non c’è una buona situazione – anche economica – in Italia, la gente sa sorridere e va avanti. Qui invece tutti sono tristi. Tramite le mie canzoni voglio trasmettere un po’ di gioia».
Quindi ti hanno colpito proprio la musicalità e il suono della lingua italiana?
«Sì, la musica degli anni Cinquanta e Sessanta. La prima volta, quando ho sentito Luigi Tenco, ho detto: “Mamma mia… è questo che mi mancava”: la musica, le frasi larghe, il quartetto dietro, le melodie romantiche. Oggi tutti usano il computer, ma a me questo non interessa. Non dico di no, ma io sono un’altra persona, mi sento vecchio dentro: una persona degli anni Cinquanta-Sessanta! Se io oggi potessi vedere Luigi Tenco, starei così [fa un inchino, ndr]: “Grazie per queste melodie!”. Veramente».
In che modo tutte queste influenze italiane sono rientrate nella tua musica?
«È una parte di me, quella parte italiana, che volevo inserire in questo CD. Volevo inserire me stesso. Il titolo, Jest Zapisane, significa “È scritto”. Quindi ho scritto i testi e li ho cantati con la volontà di mostrare sempre quello che nasceva in me, tutto ciò che ho vissuto ultimamente, e soprattutto la gioia e l’amore. Non ho paura di cantare l’amore, perché qui in Polonia se si parla d’amore e si cantano le canzoni d’amore ti dicono che non è niente. Tutti si lamentano, e tutti vogliono cantare della tristezza, ma io non ho paura e non cerco sinonimi per sostituire la parola amore: se amo, scrivo e canto ti amo, “è perché ti voglio bene”. Per questo le canzoni di Luigi Tenco sono molto vicine a me, al mio cuore, e non ho paura di dire ciò che sento e ciò che penso».
Il tuo singolo si chiama Ciao, e nel video te ne vai in giro con una Vespa…
«Questa è stata una proposta dell’anno scorso: il testo l’ho scritto a Verona, perché ho fatto studi Erasmus a Venezia, e in questo modo ho conosciuto meglio il Veneto. Adesso vado molto spesso a Verona per insegnare il polacco: può sembrare strano, ma insegno ad alcuni dirigenti di una ditta (per me è una cosa difficilissima…). Quindi ogni mese sono a Verona, e lì quando sono libero vado in un bar e prendo uno Spritz Aperol (una bevanda alcolica buonissima!). Ciò mi ha aiutato molto a finire tutti i testi, perché nei momenti liberi ho scritto una metà dei testi, proprio in Italia. Quando vado in Italia mi emoziono di più, forse perché vedo più cose, forse perché c’è il sole – ma anche da noi c’è il sole – però non so dire il perché. C’è qualcosa…».
Un po’ di “ispirazione”, diciamo…
«È una magia».
Qual è secondo te la più grande sfida per un artista?
«Smettere di essere un vocalista. Cioè: volevo molto nella mia vita – e penso di essere arrivato a questo punto – smettere di cantare soltanto in un modo “bello”, come un vocalista: “La, la, la…” [canta alcune note, ndr], con una tecnica perfetta. Questo non mi interessa. Volevo diventare un artista. Volevo essere una persona che non bada tanto – anche se deve badare – alla tecnica, ma bada tanto all’emozione, a esprimere se stesso al cento per cento, in modo da potersi dare ad un’altra persona. Forse ci sono riuscito, per esempio registrando la canzone Odchodzę już, che vuol dire “Me ne vado”, ti lascio perché ti devo lasciare, perché non siamo stati destinati per stare insieme. Mentre registravo piangevo, perché non riuscivo a cantare solo in un modo “bello”: volevo vivere quei momenti. Così sono stato quasi due giorni in studio di registrazione perché piangendo stonavo tanto. Però adesso posso dire che ho trasmesso la verità, ho trasmesso me stesso, e questa è la cosa più importante di questo CD. Non dico: “Compratelo, è bellissimo”. È una parte di me che è venuta fuori. Ci sono riuscito».