“Quando vado in Lucania mi ritrovo sempre musica davanti”: è con queste parole che l’etnomusicologo Ernesto de Martino ricordava le sue visite in Basilicata, e in particolare quella con cui – nel 1952 – fondò di fatto l’etnomusicologia in Italia.
Il racconto documentato di quella spedizione è ora disponibile online attraverso la mostra virtuale “Tra ragione e passione, Ernesto de Martino e la spedizione etnologica in Lucania del 1952“, organizzata dall’Istituto Centrale per i Beni Sonori ed Audiovisivi insieme all’Accademia di Santa Cecilia e curata da Rudi Assuntino e Grazia Tuzi.
Questa ricerca etnografica in bilico tra canti popolari, magie e canti funebri prendeva spunto dalla rivelazione improvvisa di un mondo contadino arcaico e sconosciuto, un mondo svelato attraverso le pagine di “Cristo si è fermato ad Eboli” (1945) di Carlo Levi. La suggestione di una terra magica e misteriosa, che attraverso i suoi canti deve avere affascinato de Martino e i suoi collaboratori (tra cui il giovane Diego Carpitella, alla sua prima ricerca sul campo), si avverte anche attraverso l’esplorazione del sito – davvero ricco di testi, immagini e documenti audio di grandissimo interesse – e coinvolge presto il visitatore della mostra virtuale.
Tra le tante cose interessanti del sito ho scelto di estrarre una annotazione di Ernesto de Martino, scritta a margine di una riunione con alcuni abitanti di Grottole (MT). In questa breve testimonianza lo studioso racconta di come per ottenere buone registrazioni dei canti bisognasse innanzitutto fare leva su un genuino rapporto umano:
«La riunione, se preparata bene, è di solito molto affollata e tumultuosa. Talora non ne viene fuori niente, perché i convocati non hanno compreso che cosa vogliamo, e mentre qualcuno insiste a volerci cantare magari “Di quella pira”, qualche altro ci prega di sollecitare a Roma quella tale pensione di cui non si sa più nulla da anni. Ma quasi sempre riusciamo alla fine a farci capire, e soprattutto a farci prendere sul serio. Perché è un fatto così straordinario, così fuori di ogni ragionevolezza, che della gente si sia mossa da Roma per incidere “Fronda di Ulivo” o gli scongiuri sull’ingorgo mammario o le storie dei monacelli e delle spiritate, da suscitare, come prima reazione, lo stupore e il riso. “Ma queste sono fesserie nostre!” mi ha detto una volta, in una di queste riunioni, una contadina di Gròttole. “Noi vogliamo mangiare, non cantare!”, mi ha gridato brutalmente, non senza una punta di livore, il bracciante Luigi Dragonetto di Irsina: ma poi mi ha detto i versi “quanne nascev’i mamma nun c era…”, e siamo diventati amici. La lunga consuetudine popolare di una vita culturale corporativa, la pratica di dissimulare la parte più intima di sé davanti al “signore” e all’intellettuale, il complesso di inferiorità davanti alla cultura ufficiale, sono ostacoli gravi per il nostro lavoro.
Ecco perché abbiamo ottenuto i risultati migliori in quelle riunioni in cui, prima ancora di essere di fronte come ricercatori e oggetti di ricerca, ci siamo riconosciuti tutti come compartecipi di una comune speranza di emancipazione reale.
[…] Occorre andare di casa in casa, cercare i più schivi, che sono qualche volta i migliori, le donne, che non possono affrontare i rischi sociali di una riunione pubblica, e poi ancora quelli che sono in campagna, i vecchi, i malati. Ma occorre soprattutto trovare la via del semplice rapporto umano, e inserirsi nel punto esatto in cui è possibile essere con loro nella stessa storia» (De Martino, Note di viaggio, in “Nuovi Argomenti”, n.2, 1953:66-67).
Tra la ricchissima documentazione del sito è possibile scaricare interamente le “Note di viaggio” di Ernesto de Martino, ovvero la prima rielaborazione degli appunti presi in Lucania, in cui si raccontano nel dettaglio gli incontri con quella civiltà rurale che oggi è in gran parte scomparsa.