Continuando a pensare alla vicenda del Ministero dei Beni Culturali (MIBACT) che chiede ai musicisti di suonare gratis alla manifestazione “Notti al museo”, ci sono alcune considerazioni a proposito che vorrei condividere.
La prima è che il comportamento del Ministero non fa altro che riflettere un pensiero che purtroppo è molto diffuso in Italia: ovvero quello secondo cui i musicisti (e gli artisti in generale) sono dei buoni a nulla scansafatiche. Il messaggio raffigurato nell’immagine a lato (che circola su Facebook) è un esempio lampante di questo tipo di pensiero. Avendo io stesso studiato musica al DAMS di Bologna ho vissuto sulla mia pelle questa discriminazione: pur non essendo un artista (ma avendo studiando materie artistiche da un punto di vista storico/musicologico) succedeva sempre che gli studenti di corsi “seri” come Economia e Commercio, Ingegneria o Giurisprudenza facessero dei paragoni assurdi su come le loro facoltà fossero difficili e impegnative rispetto a quel parco divertimenti che per loro era il DAMS, pieno di fannulloni perditempo. Certe persone non hanno nemmeno la più pallida idea di cosa possa essere un trattato di armonia («cos’è l’armonia?», si chiederà anzi qualcuno), ma si sentono autorizzate a sbeffeggiare chiunque si occupi di musica, perché “tanto che ci vuole”.
Se questa è la considerazione che si ha dei musicisti (e di chi si occupa di musica), è del tutto ovvio che il passo successivo sarà quello che porta questi individui a esprimersi così: «Beh, ma tanto a te piace suonare, no? Non pretenderai anche di essere pagato?». E già…
La cosa strana, però, è che nonostante questo pensiero sia molto diffuso, nella nostra società c’è un’idea (malata, secondo me) di distinzione netta fra chi fa musica di professione e chi semplicemente la ascolta, senza alcuna via di mezzo. E qui arriviamo alla seconda considerazione. In Italia la musica è vista come “una cosa per musicisti”. Chi legge potrà magari pensare: «Beh, perché, non è così?». Nella nostra cultura, purtroppo, è così. Però basta spostarsi un po’ – geograficamente, senza nemmeno andare tanto lontano – per accorgersi che il punto di vista può cambiare radicalmente. Anni fa ho vissuto la meravigliosa esperienza di un Progetto Leonardo in Portogallo per quattro mesi, ospitato dall’associazione culturale d’Orfeu di Águeda: in quella circostanza mi sono accorto di come il rapporto che i portoghesi hanno con la musica fosse completamente diverso dal nostro. Nelle numerose feste in casa nelle quali sono stato coinvolto mi è capitato di trovarmi in compagnia di alcuni musicisti che improvvisavano musica sul momento, in modo assai informale. Tutto ciò avveniva – ripeto – nell’ambito di una festa casalinga, e non sto parlando della situazione in cui uno ha la chitarra e gli altri cantano. Piuttosto, TUTTI partecipavano alla creazione di musica (che – ripeto – era improvvisata) con qualsiasi strumento percussivo a disposizione (dal piccolo bongo che si trovava lì, alla forchetta sul bicchiere). Non c’era, insomma, la distinzione netta tra qualcuno che suona e qualcuno che ascolta (o canta, tutt’al più). Piuttosto, c’era la condivisione di un momento di allegria attraverso la musica, e questa condivisione era collettiva. Eravamo tutti noi, insieme, a creare la musica (suonata). Era una sorta di magia, che mescolava musicisti professionisti a tutti gli altri partecipanti in modo assai naturale. Ciò poteva avvenire solo grazie ad un modo assai diverso di pensare la musica, ovvero senza una distinzione netta tra chi è professionista della musica e chi non lo è. In Italia, pur frequentando anche qui persone in ambito musicale, non mi sono mai trovato in una situazione del genere. Qui, se c’è qualcuno che sa suonare ad una festa, si forma immediatamente una distinzione netta tra chi suona e chi ascolta (o al massimo canta).
Da ciò, consegue la mia terza considerazione: non è una contraddizione il fatto di pensare “tanto che ci vuole” a suonare uno strumento, e poi delegare completamente ai musicisti professionisti la creazione musicale? Perché non partecipare insieme ai musicisti alla creazione della musica, quando si crea la possibilità, se è una cosa così facile? Forse perché c’è un problema di fondo…
Il problema di fondo, con cui concludo questa mia riflessione, è che in Italia non esiste una cultura musicale di base che possa definirsi veramente tale. I programmi ministeriali per l’insegnamento della musica nelle scuole sono rigidi e non riflettono una visione della musica più umana, in grado di tirare fuori qualcosa, piuttosto che di inculcare nozioni. La considerazione generale che lo Stato dimostra per la musica e per le arti in generale è veramente pessima, e questo accade in un Paese in cui si potrebbe vivere soltanto di cultura e (conseguentemente) di turismo. Altro che «con la cultura non si mangia». Qui con la cultura si può mangiare e bere. Ma a mangiare e bere sono solo burocrati e politici capaci di ideare un bando vergognoso in cui si chiede ai musicisti di suonare gratis, e di accollarsi pure le spese. Quei musicisti fannulloni che invece possono pure morire di fame.
Ciao, condivido in pieno le tue riflessioni! Mi ricordo che in America appena dicevo che suono il basso più persone mi hanno lasciato un loro contatto e mi han detto “dai sentiamoci che un giorno ci facciamo una suonata”. Qui di solito è sempre voglio fare il gruppo e avviare un progetto…niente di male eh, però ogni tanto non guasterebbe anche suonare e basta.
Credo inoltre che contribuisca molto all’ignoranza musicale di base anche la mancanza di fenomeni artistici in strada o in luoghi pubblici, i cosiddetti “artisti col cappello”. Qui sono visti come poveracci che chiedono soldi, all’estero invece è vista come una cosa molto più normale. A Union Square a New York ho visto studenti sfruttare l’opportunità di poter suonare ad un pubblico per studiare cose nuove ed esercitarsi, riuscendo anche a racimolare qualche dollaro…sembra un sogno.
Siamo tutto il giorno bombardati dall’industria di regime che propone tramite la radio sempre le stesse cose anche più volte al giorno. Il panorama è in mano ai dinosauri. L’ascoltatore medio italiano quando esce la sera vuole risentire al bar il pezzo del solito noto che la radio ha già passato 40 volte durante la giornata lavorativa. Lobotomia sonica. È difficile incontrare qualcosa di completamente diverso a meno che non si abbia un po’ di quella sana curiosità che ahimè al giorno d’oggi non va molto di moda. La musica in strada potrebbe essere una porta ma in fondo…son tutti poveracci se suonano in strada col cappello…Però c’è davvero ancora qualcuno che ha la pazienza e la passione di ascoltare o siamo tutti consumatori nel senso commerciale del termine?
Ciao Fibro,
io non sono mai stato in America, ma quello che dici è verissimo: qui da noi i musicisti di strada sono visti come pezzenti. Eppure ce ne sono di bravissimi in giro. Io ora vivo a Varsavia, e d’estate qui è pieno di artisti di strada, anche molto bravi. Lo scorso anno, qui, ho fatto un video a un gruppo di samba batucada che raccoglieva intorno a sé un mucchio di gente, e qualche soldo lo racimolava, perché trasmetteva grande energia (il video lo puoi trovare qui: https://caggiani.paroledimusica.com/drumbastic-musica-di-strada-a-varsavia/).
Da noi la musica è vista appunto solo come “professionismo”, contrapposta a quella da dilettanti (poveracci che chiedono l’elemosina), senza alcuna via di mezzo. Come giustamente dici, tutto è gestito dall’industria musicale che propone cose inascoltabili che invadono tutti quei pochi spazi dedicati alla musica.
Il perché questo accada è solo e sempre un problema di educazione musicale: se le persone fossero coscienti che la roba proposta da radio e tv è al 90% spazzatura rivolgerebbero i loro ascolti altrove, ma per fare ciò occorre un minimo di cultura musicale (che in questo paese – in linea generale – manca). In queste condizioni le persone finiscono semplicemente col perdere interesse per la musica, perché da una parte l’offerta dominante è qualitativamente scarsa, e dall’altra non c’è quel minimo di conoscenza della musica per capire anche solo dove trovare quella di qualità.
Ho addirittura l’impressione che l’industria discografica in fondo voglia un pubblico musicalmente ignorante, in modo da poter proporre le schifezze del momento, nella convinzione che il pubblico accetti tutto ciò che è deciso ai vertici. Non hanno capito che se una cosa fa schifo (nonostante ciò che gli esperti di marketing – non di musica – ne pensino), non la venderanno mai. L’unico risultato sarà solo quello far allontanare le persone dalla musica, perdendo quindi dei potenziali clienti. Dunque, è davvero “conveniente” tutta questa ignoranza musicale? Non credo.
Grazie tanto per il tuo commento e per lo spunto di riflessione.
Riguardo all’industria però vorrei farti notare questo: come ci si sia radicalmente spostati dalla centralità del supporto fisico (LP, musicassetta e poi CD) verso un ambito dove il supporto fisico diventa da collezionisti e lascia spazio ad altri media come youtube, lo streaming attraverso un telefono/tablet e la creazione di piattaforme televisive di talent show che spostano così la musica da un piano uditivo ad un piano che coinvolge anche il visivo e l’immagine (Lady Gaga ne è un esempio lampante). Il festival di Sanremo diventa una piattaforma di lancio per prodotti di reality ecc. e si cerca di chiedere al pubblico cosa vuole ma questo dopo il singolone si dà alla macchia perché fondamentalmente la preoccupazione base è il tormentone dell’estate da ballare in discoteca. Nell’industria manca assolutamente un investimento sul singolo artista, si parla solo di prodotti, viene a mancare il percorso di crescita ed investimento discografico che ha caratterizzato la storia dei grandi nomi. Inoltre la tecnologia sta portando come risultato una forte omologazione timbrica, essendo usata in sostituzione ai musicisti e non come supporto. Tanta musica pop odierna è un po’ come una ricetta della Parodi, vai a formule e quantità un tanto al kg però poi insomma…si sente. Questo spostamento dall’orecchio all’occhio unito all’ignoranza di base è quello che fa sì che il mercato non crolli, continuando a fomentare un sistema che lancia di continuo prodotti da ballo e non da ascolto. Di solito, quando l’orecchio coglie della musica “diversa” ha bisogno di pazienti ascolti ripetuti e di tempo per metabolizzare il processo, coinvolge anche i pensieri e le emozioni. In una società in corsa verso non si sa dove, il tempo manca, la pazienza e la curiosità figuriamoci e il pensiero “lascialo a casa che son solo cose brutte”. Nel cosiddetto ambiente indie, che dovrebbe essere l’alternativa, c’è spesso un forte vuoto di contenuti (con testi spesso imbarazzanti e intellettualoidi) e una mancanza di professionalità musicale dolorosa. Il panorama musicale italiano in generale per me si riassume in questa immagine: per costruire un ponte non si chiamano i migliori ingegneri (costano troppo) ma si chiama una equipe di cuochi che, grazie al parare “degli esperti” o perché hanno vinto una gara di modellini di ponti, si credono ingegneri. Non vorrei sembrare accademico, però credo che per parlare un linguaggio bisogna conoscerlo. Non condanno chi ci prova anche senza volerlo studiare, però mi sembra strano che uno che spiccica due parole di questo linguaggio pretenda di scrivere la “divina commedia”…Per fortuna ci sono anche molte persone preparate e capaci, ma il problema è che sono costrette a suonare per “50€ e ringraziami pure che t’ho pagato in nero”… Qui si potrebbe aprire anche il discorso dei locali, della SIAE e di Franceschini coi suoi bandi e fondi al “jazz”….
Io ho aperto un’etichetta indipendente 3 anni fa e non a caso l’ho chiamata “La Fame Dischi” 🙂 http://www.lafamedischi.com
È un discorso lungo e complesso, certo. Chiaramente oggi non ci sono più i discografici di una volta – quelli che hanno lanciato i cantautori “storici”, per intenderci – e bisogna ottenere risultati immediati perché il settore è in crisi ecc ecc. Ma è un po’ come il cane che si morde la coda: senza puntare sulla qualità (e senza dare tempo alla qualità di emergere) la crisi aumenterà sempre di più. E chiamare un’etichetta discografica “La fame dischi” è una genialata: riflette benissimo questi tempi! Ma complimenti per il coraggio! 🙂
Riflessioni che condivido al 100%. Forse qualcuno di voi può anche aiutarmi a comprendere come sia possibile che da eccellenza musicale fino agli inizi del 1900 siamo passati a una calma piatta inquietante. E come è possibile che mia nonna, nata nel ’34 in uno sperduto paesino umbro, avesse accesso a musica classica e d’opera tanto da ricordare ancora a memoria l’intera Carmen mentre il 99% dei bambini del 2000 non riconoscono una chitarra da un violino e credono che le suites di Bach siano pezzi per le pubbilcità. Cosa cazzo è successo nel mezzo??
Ciao Ele, non so come mai questo sia potuto succedere. Credo ancora fortemente che il nostro Paese sia ricchissimo di talenti e di creatività (pur se questi non riescono ad emergere e a farsi conoscere dal grande pubblico). Il momento è difficile, le persone creative non mancano, ma purtroppo è la creatività stessa a non essere più interessante per chi ha il potere.
Anticamente – pensiamo all’epoca Barocca, ad esempio – esistevano i mecenati: piccoli (o grandi) potenti che usavano gli artisti come mezzo per mostrare la loro grandezza. Questi mecenati non erano tanto interessati all’arte, quanto al prestigio che grazie ad essa potevano comunicare. Quindi in un modo o nell’altro ci sono stati tempi in cui la nostra nazione ha potuto essere ciò che è stata culturalmente grazie a questa connessione tra potere e bellezza ( = prestigio, o status symbol). Oggi il potere ha altri modi per dimostrare se stesso, e di certo non usa la bellezza. Piuttosto, sembra che siano importanti altri parametri, che con il bello non hanno niente a che vedere (capacità di portare o spostare voti, ricattabilità e altre “cosucce” di questo genere).
Non è che adesso auspico un ritorno al mecenatismo, però è chiaro che il potere considera la bellezza (e soprattutto l’educazione) come un impaccio. Un popolo ignorante è molto più facile da prendere in giro di uno educato, perché ormai privo di coscienza civile. Un popolo cresciuto con le ragazze sculettanti in televisione e i “talent” show è dunque molto più malleabile di uno che ha seguito un adeguato percorso di studi. Per cui non c’è da meravigliarsi se i tagli all’istruzione e alla ricerca sono sempre tra i primi a venir fatti quando c’è qualcosa da tagliare.
Non so come sia potuto succedere che i bambini di oggi non sappiano distinguere il suono di una chitarra da quello di un violino, così come non so come sia potuto succedere che si sia accettato di scambiare la democrazia in cambio di quattro culi in televisione.
Spero di non essere stato troppo polemico, ma mi piange il cuore vedere la situazione culturale dell’Italia di oggi.
Grazie per il commento, Ele!
sono capitata sul blog da “non addetta ai lavori” ma ho trovato delle riflessioni interessanti. Vorrei aggiungere che condivido pienamente l’idea che alla base c’è una mancanza di istruzione e di educazione ai linguaggi specifici delle discipline e che l’inadeguatezza delle scelte politiche nel campo dell’istruzione non è casuale. Inoltre voglio sottolineare che la crescita culturale di un Paese deve avvenire sviluppando ogni forma del pensiero e dell’espressione: quindi sì allo sviluppo degli studi musicali ma assolutamente insieme alla storia dell’arte, alla scienza e alla letteratura ecc. Quanto alla letteratura vorrei dire che soffre degli stessi mali o quasi della musica: la prosa “spazzatura”, una miriade di romanzi inutili e noiosi, ripetitivi, scritti a tavolino, mixando alcuni ingredienti facili; un’esagerazione di feuilleton falsamente storici che indagano misteri degni degli album di Topolino ( ma il lettore medio si sente coinvolto in letture di un certo livello); troppi premi dati a scrittorucoli di bassa lega, autori di libri che si dimenticano nello spazio di un tweed….
Non voglio tediare, ma insomma il concetto è che, se si deve combattere per migliorare il livello culturale, non si vincerà la battaglia da soli, ognuno nel proprio cerchiolino artistico o disciplinare, ma unendo le forze e solidarizzando ( magari anche togliendo il cliché deleterio dell’artista/ musicista come un “diverso”, perso nelle nuvole, incurante della vita reale e del mondo intorno a sé, il contrario di quello che i grandi artisti sono stati!)
AMEN….nessuna tutela, pochissimo rispetto, cultura ai minimi storici…..il “digitale” è parte del problema ma non la causa dello stesso. Combatto contro i mulini a vento da 25 anni ma in questi ultimi 10 è stato chiaro come tutto si andato via vi a peggiorando….fatevi due domande su chi tiene in mano le sorti della musica e della cultura nel paesucolo.
Allo stesso tempo mi sento di dire che non è del tutto “finita” e come esempio porto quanto mi è appena accaduto grazie a musicraiser……quasi 300 persone hanno contribuito al finanziamento del mio prossimo (e primo) disco solista….il numero è relativamente piccolo ma c’è e ne sono orgoglioso.
Ciao, da un paio di anni organizzo “drum circle” che serve proprio a fare quello che dici te…suonare tutti insieme, al di là della propria capacità musicale. La cosa più fastidiosa che mi capita è quando ci sono i bambini…i genitori non vogliono assolutamente partecipare e “lasciar divertire i banbini, che tanto io guardo”…grrrr
semplicemente non gli fotte na sega se son musicisti e non vuol sentire rumore tutto il giorno, l’immagine si spiega da sola, se ci vedete dietro tutte queste tematiche e cazzate varie avete voi problemi alla testa non quelli che scrivono quel messaggio, ognuno ha le sue passioni o i suoi problemi e non devono rompere il cazzo ai propri vicini.
Vedi Diego ora sotto casa mia ci sono dei muratori che caricheranno un camion di sassi fino alle 19 di sera. Se io fossi un idiota potrei affacciarmi alla finestra e chiedergli di andare a fare rumore da un’altra parte. Il lavoro delle persone va rispettato. Il problema di quel messaggio, caro intelligentone che viene a spiegarci il perché del mondo, non è la lamentela per il rumore, ma il “trovatevi un lavoro serio”. Quindi per favore prima di dare dei disagiati mentali ai presenti, armati di specchio o rileggi attentamente. Grazie e cordiali saluti.
Purtroppo abitate in un paese di poveri ignoranti!non voglio essere offensivo ma è così! Un paese di vecchi con una mentalità sbagliata e completamente da rifare!!!
Negli altri paesi se sei considerato un artista ti viene data la possibilità di poter fare ció che ti piace e nel modo giusto!
Nemo profeta in patria, io calzo perfettamente il detto, in Italia ho lavorato come musicista in varie orchestre, ma piu passava il tempo e piu il reddito diminuiva, oltre oceano ho ottenuto riconoscimenti di elevato livello, quante volte alla domanda cosa fai? rispondevo, il musicista, poi seguiva sempre: si va beh, ma di lavoro?
per Filippo: se ti può “consolare”, la lettura delle tue riflessioni, mi ha -immediatamente, riportato alla mente “un’affermazione”, udita esattamente 30 anni fa; in un gruppo di -indubbiamente- amici (del quale facevo parte), c’era una ragazza che studiava “Spettacolo” al DAMS di Bologna, mentre il fratello “Arte”; bene (si fa per dire…), una volta mentre ci dicevano di loro amici, colleghi di facoltà, un aspirante ingegnere informatico, alla descrizione di questi, se ne “uscii” (per quanto “amico”), serenamente come decisamente, con un bellissimo e perentorio “… tutta gente inutile, scaldabanchi che dovrebbero andà a lavorà…” …Per dirti, 30 anni fa, e rivolto non solo agli studenti di Musica…ma, del resto, senz’andare troppo indietro (il “mezzo” sopra citato da l’Ele), è sufficiente guardare al trattamento riservato al Ministero dei Beni(!?!) Culturali, negli ultimi…diciamo 15 anni, a iniziare dai nomi (e dall’indiscusso spessore culturale) di alcuni Ministri…per non dire di alcuni MInistri dell’Economia, i quali, spudoratamente, si permettevano di dichiarare che con (” I BENI ” derivanti dal ” PATRIMONIO”) culturale “…non si mangia”: strano, concetti espressi proprio da elementi, i quali per formazione e trascorsi, dovrebbero esser avezzi -se non altro- a quei termini contabili…Ringraziamo decenni di governi i quali dell’ (ostentato) disprezzo verso l’Educazione (a partire dalla cosiddetta “Buona”) quanto verso la Cultura, hanno fatto un vessillo, un vanto, un programma elettorale
Condivido il messaggio di questo post, anche se tutti quei “al massimo canta” mi hanno infastidito parecchio. Non facciamo discriminazioni anche tra discriminati. Lo studio del canto è un percorso che comporta difficoltà e sacrifici, allo stesso modo degli altri strumenti. La gente (musicisti compresi) non capisce che cantare=suonare, ed in questo caso lo strumento è il proprio corpo. Uno può anche improvvisare e “strimpellare” con la voce come si fa con la chitarra nelle situazioni descritte in questo post, ma prima di poterselo permettere ci vogliono l’apprendimento di una tecnica, impegno e tanta pratica.
Io sarei anche a favore di un modello portoghese di fare musica, ma per cortesia non fate l’errore di annoverare automaticamente coloro che cantano tra i “dilettanti”. Con la fatica che si fa per imparare a cantare è davvero brutto ricevere scarsa considerazione dagli stessi colleghi musicisti, oltre che dalle istituzioni e dalla nostra cultura.
“o al massimo canta” allora sei anche tu della stessa categoria dei tuoi colleghi giurisprudenzialisti etc… Prevenuto! E se non hai mai vissuto in italia esperienze come in portogallo e’ perche’ sei….
prevenuto!!! Hai la mente ristretta e non accetti l’altro. “o al massimo canta”
Nel 1985 Frizzi Comini Tonazzi hanno pubblicato l’album “Se voletela musica gratis fatevela da soli” metà in bianco e metà canzoni da finire.
Mi scuso con Arianna e Fra se dicendo “o al massimo canta” nel mio testo posso averle offese. Vorrei specificare che non ho alcun pregiudizio verso i cantanti, e so benissimo quali sacrifici occorrano per avere un buon controllo della voce. Ho tantissimi amici cantanti e mai mi sentirei di offenderne alcuno. Con quell’espressione mi riferivo però a quel genere di situazione in cui “ci si può anche provare”, a cantare. I risultati, però, sarebbero drammatici senza un’educazione appropriata. So benissimo che se IO mi metto a cantare, dopo tre canzoni sono senza voce, proprio perché non ho un’impostazione adeguata. Tuttavia, il canto è qualcosa di innato, e ci si può anche provare, pure se alla fine la voce sarà rovinata. Se uno non ha mai messo le mani su una chitarra, però, dubito che al primo approccio possa tirarne fuori qualcosa. Non volevo sminuire i cantanti, però, e mi scuso ancora per l’equivoco.
Io vivo e lascio vivere , preferisco i suoni , musicali che i rumori della guerra preferisco i suono della musica che un bambino che piange …. preferisco che tutte le notte musicali possano uscire per la finestra …. e possano fare danzare il vento …. amo troppo la musica x che risveglia l’ anima … fa innamorare l musica e Dio che parla …. non e nata per caso .! dobbiamo amare i suoni della vita ….. non importa …… … se è una flauto che suona malamente perche so che prima o poi nascerà una melodia ….. di relax … amo i suoni ….. sono una liberazioni ………. magica W musica e Dio benedica a chi possiedi queste dono suonate .. la vita vi ha creato per suonare <3
State sempre a lamentarvi…..avete stufato…..i musicisti sono già pagati il giusto
Se suonano gratis significa che non sono pagati il giusto.
Se io suono gratis in pubblico ma qualcuno ci guadagna dall’evento si chiama sfruttamento. Punto.
Non è sempre stato così. Io ho cominciato a suonare nel ’66 e c’era una piena compartecipazione pubblico – musicisti dove il li Pubblico con la p maiuscola, non quello di adesso drogato dalle televisioni, partecipava e valutava con la sua testa. La nascita di Pfm, Banco, Area, Rovescio della medaglia e tanti altri è l’esempio più eclatante.